Tag

, , , ,

Uno dei miei gruppi musicali-ossessione degli ultimi anni ripete “le velleità ti aiutano a dormire quando i soldi sono troppi o troppo pochi e non sei davvero ricco nè povero davvero, nel posto letto che non paghi per intero“. Se non avete mai ascoltato I Cani fatelo. Fatelo.

C’era una volta una bambina, nata all’inizio degli anni ’80, figlia di una società ricca e piena di sogni, cresciuta a pane e velleità. Le velleità, certo. Cazzosono le velleità, scusate? Il wikizionario (siamo nell’internet siori) spiega che le velleità sono “aspirazione, presunzione, voglia ambiziosa di fare una cosa senza averne le possibilità o le capacità“. 

Eh no. No. Velleità un corno, allora. Questa storia non mi piace. Com’è cominciata?

Alle elementari ho scritto un tema che ha strappato molti sorrisi, quando con una metafora particolarmente brillante, inconsapevolmente creativa, ho paragonato il colore del mio cane a quello di una bistecca bruciacchiata. Fiera come un soldatino sono andata a leggere il tema nelle altre classi, tremando leggermente mentre reggevo il quadernone, ma ero gonfia di orgoglio. All’epoca la mia autostima non era ancora stata bersagliata e martoriata e fu così che decisi che sarei diventata una scrittrice. Mi piaceva scrivere e amavo essere al centro dell’attenzione, sembrava il lavoro ideale. 

Negli anni seguenti, alimentata da un’educazione scolastica classica, dall’impostazione piuttosto arcaico-punitiva, ho iniziato a sopravvalutare la soddisfazione che deriva dalla fama e dal successo post mortem, perché guadagnare con la propria arte è proprio da venduti. Nella mia mente l’artista vive in una soffitta umida e si fa mantenere da generosi mecenati che credono nelle sue capacità. Poi muore per un raffreddore non curato e qualcuno trova i suoi brillanti scritti, li pubblica e il mondo lo celebra. Bellissimo. Crescendo un po’ ho deciso che forse una via di mezzo sarebbe stata più soddisfacente, finchè la professoressa di italiano del liceo non mi ha smontata come una composizione di lego e non ha gettato i singoli pezzetti in mare. 

Quindi le mie erano solo stupide velleità? 

Allora andate affanculo voi intellettuali, mi sono ripetuta per anni.  Scegliamo Giurisprudenza e facciamo i soldoni deridendo quei poveretti malnutriti e falliti che finiscono a fare gli insegnanti frustarti nei licei. Ah no, c’è la crisi, adesso siamo tutti poveri e “ad avercelo il lavoro stabile degli insegnanti“, “era meglio non studiare e fare l’operaio“, oppure “dovevo fare la fashion blogger e smarkettare l’impossibile” e via così. Niente, non c’è modo di avere la maledetta rivalsa su quegli stupidi e orribili individui che hanno implicitamente etichettato i miei sogni-obiettivi come velleità e allora ho capito che devo smettere di abbracciare questo sentimento distruttivo, perché appunto è su un binario destinato inevitabilmente al fallimento e ricominciare da capo, amando quello che scrivo e il lavoro che faccio, ritagliandomeli su misura e non ponendo limiti al futuro. 

Buona colazione dalla vostra Liz!